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Musica ribelle
HANNO SMESSO DI ESSERE DEPRESSI E RITROVATO FORZA ED ENERGIA. RISULTATO: UN NUOVO DISCO, POTENTE, ARRABBIATO E SCHIERATO CONTRO BUSH. I 5 DI OXFORD SONO TORNATI. PIÙ INCAZZATI CHE MAI
di Ilaria Bellantoni


Era il 1997. Qualche mese prima che Ole computer arrivasse nei negozi una decina di audiocassette sigillate fu spedita alla stampa, alle radio e ai rivenditori inglesi. E l’album che avrebbe salvato il rock fece dei Radiohead gli eroi della musica alternativa. Due anni più tardi, Kid A, e, successivamente, Amnesiac vennero recapitati sulle scrivanie degli addetti ai lavori in formato digitale, riposti in un minuscolo lettore cifrato grande come una penna stilografica. Per impedire che fossero copiati e trasmessi su Internet. Anche quella volta, alla band di Thom Yorke andò bene. Anzi, benissimo.

Con Hail to thè thief, il disco che sarebbe dovuto rimanere top secret fino al 9 giugno, data di pubblicazione ufficiale, qualcosa è andato storto: prima ancora che negli uffici milanesi della Capitol Re-cords pervenisse l’unica copia protetta destinata all’ascolto (in sede, of course), già a marzo le 14 canzoni del cd e perfino i testi integrali giravano in rete. Certo, la versione rubata era quella grezza, ma le atmosfere sinistre e le chitarre ruggenti che danno corpo al sesto disco del quintetto di Oxford erano già riconoscibili. Com’è stato possibile? La risposta di Ed O’Brien, chitarrista e portavoce del gruppo, è una risata nervosa. A cui segue una domanda: «L’hai scaricato anche tu? Sì? Hai fatto bene. Se avessimo dato retta a Jonny (Greenwood, il chitarrista, n.d.r.)' non sarebbe accaduto. L’aveva detto, lui: “Portiamoci a casa il cd e distruggiamolo”. Quando ci siamo accorti che Hail... era stato rubato nello studio di Los Angeles, ormai era troppo tardi. Era nel computer della sala d’incisione, a disposizione di chiunque. E ce l’hanno fregato».

Hai ascoltato la versione che circola online?
«Sì. La qualità del suono è buona, ma non ha niente a che fare con quella definitiva. Quando masterizzi un album è come se infilassi un paio di occhiali che ti permette di vedere chiaro, di portare alla luce i colori, gli estremi. Solo in quel momento la musica diventa brillante, luminosa, ricca di sfumature».

Per Kid A i tempi di lavoro sono stati quasi biblici. Con Hail com’è andata?
«In studio circolava così tanta energia che abbiamo impiegato solo 7 settimane: avevamo un’urgenza pazzesca di buttare fuori tutto quello che ci passava per la testa. Hai presente quando i musicisti cominciano a fare gli sbruffoni, a pavoneggiarsi come facevano i Rolling Stones tra il ’68 e il ’73? Ecco, negli ultimi 2 anni a noi è successa la stessa cosa. Poi siamo tornati a suonare, a darci dentro. E questo è il disco migliore dai tempi di The bends. C’è tanta chitarra, uno strumento che non ti fa pensare troppo. Puoi essere arrabbiato e produrre suoni epici perché la potenza fisica si fa musica, con la chitarra».

I testi sono tra i più crudi che abbiate mai composto. Parlano di morte, inferno, sangue, mostri, lupi mannari.
«Le canzoni sono sinistre, è vero, ma sono anche il riflesso del tempo in cui viviamo. E poi anche i bambini parlano con estrema disinvoltura della vita e della morte, e lo stesso accade nelle favole. Questo disco è una fiaba basata sulla tremenda realtà di tutti i giorni. Insomma, non devi essere uno scienziato del rock per capire che se continuiamo a trattare il pianeta e i nostri Paesi in maniera sconsiderata ci costruiamo la tomba con le nostre mani. È difficile dire queste cose musicalmente. Così ai testi dark abbiamo opposto una musica calda, accessibile. Mai cattivà o crudele. Questo è anche un disco politico in cui confrontiamo le nostre credenze e paure. Del presente e del futuro».

Si intuisce già dal tìtolo dell’album. Che è anche uno slogan antì-Bush...
«Thom ha inserito Hail to thè thief nella strofa del brano 2+2=5. Significa “Salve al ladro” ed è lo slogan nato alla fine delle controverse elezioni che nel 2000 hanno portato George W. Bush alla Casa Bianca. La frase è stata coniata quando la sfida tra Bush e il democratico Al Gore si è combattuta a colpi di pochi voti, più volte ricontati, nello Stato della Florida. Il giorno della cerimonia di insediamento a Washington migliaia di manifestanti hanno salutato il nuovo presidente degli Stati Uniti con cartelli che dicevano Hail to thè thief, our com-mander in chief(“Salve al ladro, il nostro comandante in capo”). Motto molto usato nei circoli antirepubblicani. Esiste anche un sito “possibilista” che ha inserito una variante: “Salve al ladro! Ama il tuo Paese. Non credere mai al suo governo”».

La vostra è una posizione che, di questi tempi, potrebbe alienarvi la simpatia dei fan americani. Quelli che hanno comprato più album in assoluto dei Radiohead.
«Arriva un momento, nella vita, in cui devi essere audace: W. Bush è un uomo che fa paura. Il compito di un musicista è difendere quello che pensa e noi vogliamo ricordare agli europei che l’America non è una massa indistinta: in realtà solo una minoranza ha votato per Bush, negli States c’è tanta gente che non lo sopporta, e il titolo del nostro disco lo sottolinea. Magari gli zoticoni degli Stati del Sud o quelli che vanno in giro brandendo la bandiera a stelle e strisce non lo gradiranno: sono gli stessi che non hanno approvato le dichiarazioni delle Dixie Chicks (“Ci vergogniamo di essere texane come Bush”, n.d.r.) e hanno bruciato in piazza i loro dischi. Noi siamo liberali e i conservatori non li conquisteremo mai. Ma neanche vogliamo conquistarli perché non li capiamo».

Che effetto fa essere nella migliore rock band del mondo?
«Sono felice di lavorare con persone che stimo e che conosco da sempre. Siamo tutti affamati di musica, ognuno di noi dà il proprio contributo, e questo è uno dei motivi per cui i Radiohead riescono ad avere tanta profondità: il lavoro che facciamo insieme non può essere portato a termine da una sola persona di noi. Quando suoniamo, le canzoni di Thom smettono di essere sue e diventano nostre».

A leggere i testi sembra che Thom sia un uomo tormentato e pieno di ossessioni. Prendi Myxomatosis...
«Quella è la canzone più terrificante del disco. La myxomatosi è una malattia killer che colpisce lepri e conigli, ma è usata per descrivere i tempi terribili in cui viviamo. Sail to thè moon, invece, è un pezzo positivo, pieno di luce: parla del desiderio di essere altrove, di volare sulla luna, fuori dal mondo. Thom convive con un dualismo: è una persona sensibile, è un artista. Ma come tale non deve lasciarsi dominare dai sentimenti, deve riuscire a mantenere le distanze. Non sempre ci riesce. Per questo cerca anche di limitare i cóntatti con la stampa: mettere a nudo i suoi pensieri lo rende troppo vulnerabile, lo priva della sua magia. Lo abbiamo capito con Ok computer, nel periodo in cui siamo esplosi negli Stati Uniti: Thom ha passato dei momenti drammatici, ha sofferto molto».

Poi ne è uscito?
«Sì, e noi con lui. Ora abbiamo trovato un equilibrio per affrontare la realtà, ma sentiamo ancora l’esigenza di commentare quello che accade, urlando tutta la nostra disapprovazione. La differenza è che un tempo ci concentravamo sugli aspetti peggiori delle cose, adesso non lo facciamo più. Abbiamo ammesso di essere infelici e abbiamo trovato il modo per uscirne. E non siamo più né tristi né sfigati».